"Piave mormorava mentre Verdi scriveva". Umorismo a tema, intelligente e spiritoso, con cui David Riondino e Dario Vergassola hanno impostato la digressione semiseria attorno a "La traviata". Il Teatro Comunale di Gonzaga, immerso nelle nebbie mantovane, nella data inaugurale della stagione teatrale ha accolto l'anteprima di uno spettacolo per il quale ancora non è fissata una tournee. Il primo rombo del motore di un'auto nuova in rodaggio. Una prova generale, senza effetti di luce od oggettistica, aperta al pubblico, il quale ha riso ed applaudito dalla platea per poi essersi trovato compartecipe, nei camerini, ad esprimere il proprio parere per limare e ottimizzare la messa in scena.
"Siamo la risposta a La Traviata della Scala" è stata la divertente chiosa. Il percorso è stato motivato dall'aggettivo "didattico" senza avere la necessità di codesta giustificazione, in quanto ha trovato in sé stesso ragione d'essere. Riondino e Vergassola hanno inteso portare l'opera fuori dagli spazi canonici e ampliare il target dei melomani, favorendo un primo approccio anticonvenzionale con la trama e con la musica, compiendo quello che scherzosamente è stato definito uno sforzo divulgativo eroico.
In realtà il libretto di Francesco Maria Piave ha fatto sporadica comparsa nelle poche romanze (inaudito il taglio compiuto su "E' strano...follie") intonate dal soprano di origine cinese Li Bei Bei: voce interessante dalle caratteristiche tecniche unite a doti naturali che fanno presagire un futuro artistico da seguire con attenzione. Riondino, in piedi davanti ad un leggio, ha narrato le vicende di Marguerite Gautier come scritte da Alexandre Dumas in "La Dama delle Camelie", romanzo ispirato alla vera vita di Alphonsine Duplessis, celebre etera parigina vissuta nella prima metà dell'ottocento, nel melodramma verdiano divenuta Violetta Valery.
La fedeltà letteraria di Riondino non poteva che venire destabilizzata dalla irrefrenabile, spontanea vis comica di Vergassola. Se Dumas ha stigmatizzato la società del tempo, i suoi valori ed i suoi compromessi, Vergassola, litigando con le leggi di gravità di una seggiola, l'ha tradotta in termini attuali, sovrapponendo Gautier alla Margherita di Cocciante, intonando un timido "Amami Alfano", chiedendosi se la tisi fosse una tassa sulla prima casa di tolleranza, infine avanzando l'ipotesi che la cortigiana Violetta potesse essere condivisa su facebook. Il tutto, scatenando risate e applausi che, in una gara estemporanea tra gli interpreti, sono stati diligentemente annotati come punti a favore dell'uno o dell'altro. Dall'improvvisazione, lo svolgimento ha tratto freschezza e il ritmo si è scioltamente dipanato nel rimpallo dialettico tra i due, in equilibrio tra serio e faceto. Non altrettanto dialoganti, Dumas e Verdi. Al Maestro di Busseto, alla cui opera era intitolato quello che ha assunto i contorni di un reading teatrale, è stato ritagliato uno spazio esiguo, se valutato nell'economia globale della serata. Le riduzioni della partitura per trio d'archi e clarinetto, eseguite poco impeccabilmente dall'ensemble toscano (per nascita o adozione) International Chambers Players, sono parse numericamente stringate; ricercatamente scarna la corposità del suono.
La formula con cui Riondino e Vergassola da tempo si confrontano con i classici, è collaudata: ripetitiva nella forma quanto capace di rinnovarsi nella sostanza. Una sorta di marchio di fabbrica che continua a rivestire efficacia grazie alle arguzie, pungenti ma mai dissacranti, agli intenti nobilmente ludici declinati con rispetto verso gli autori. Un transfert omeopatico tra umorismo e opera.